NEGOZIARE TUTTI I GIORNI - INIBIRE LE ALTERNATIVE
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NEGOZIARE TUTTI I GIORNI - INIBIRE LE ALTERNATIVE

 

 

Inibire la Ricerca

Foto di Clker-Free-Vector-Images da Pixabay

Il potere contrattuale di una parte è legata anche alla sua Miglior Alternativa all’Accordo Negoziato (MAAN). La probabilità di avere alternative migliori, a quella di fare un accordo con la nostra contro-parte, naturalmente sarà tanto più alta quante più alternative saranno a nostra disposizione. 

La tattica che tende ad annullare o almeno ridurre questo vantaggio consiste nel limitare le alternative disponibili alla contro parte. In tal modo, viene limitata la sua libertà negoziale e quindi il suo potere contrattuale, incentivando le sue motivazioni a fare un accordo con noi.

Un esempio estremo, potrebbe essere quello di una legislazione che annulla il diritto di sciopero, riducendo in modo drastico il potere negoziale del sindacato. Il risultato più equilibrato lo ottiene al contrario una legislazione, come l’attuale in Italia, che incentiva la parte aziendale a raggiungere un accordo col sindacato e quest’ultimo a seguire determinate procedure per dichiararlo (soprattutto in settori critici).

Senza arrivare a casi limite, in ambito gestionale questa tattica è la base delle iniziative di retention che una azienda mette in campo per fidelizzare un particolare collaboratore. In questi casi si fa in modo di apparire il meglio che quel collaboratore può desiderare dal mercato, prevenendo che si attivi per andare alla ricerca di alternative. 

Infatti, un collaboratore soddisfatto è molto meno motivato ad accollarsi non solo i costi di scouting del mercato, ma ancor più la previsione di quelli di switching (costi del cambiamento). Anche se si può trattare  di costi solo emotivi / psicologici.

 

Caso 1 - Inibire la ricerca sul breve

Il primo caso che presento è quello dell’approccio alla retention per ruoli commerciali di una azienda in difficoltà. Sembra strano che una azienda in serie difficoltà possa riuscire a fare degli interventi che la fanno preferire ad alternative migliori dal punto di vista della stabilità e delle opportunità di medio lungo termine. 

Nel caso specifico, si trattava di ruoli commerciali che potevano essere certi di mantenere il loro valore di mercato, e quindi il loro potere contrattuale, per un periodo di tempo medio – lungo. 

Infatti, avevano il controllo di buona parte del loro portafoglio clienti, inoltre la fase di mercato del settore era tale per cui la crescita delle quote di mercato dei singoli player stava avvenendo (e ci sia aspettava che cosi sarebbe stato per almeno altri cinque-sei anni) più tramite la acquisizione di portafogli, che attraverso attività commerciali e di marketing focalizzate all’acquisizione uno per uno di nuovi clienti. 

In questo contesto, si era ottenuta una retention attraverso interventi economici condizionati alla permanenza in azienda per un periodo breve-medio. Il fine era quello di guadagnare tempo, per la implementazione azioni di recupero di competitività da parte dell’azienda in difficoltà. Il miglioramento della situazione aziendale, se si fosse ottenuto, avrebbe a sua volta agito da fattore di retention di più lungo termine.

Lo stesso tipo di azione può essere adottata per finalizzare operazioni di vendita del business con lo stesso orizzonte temporale di breve-medio, per evitare che l’esito della transazione risenta della perdita di asset rilevanti (come parte del parco clienti molto fidelizzati da commerciali dimissionari).

 

Caso 2 - Inibire la ricerca sul medio termine

Il secondo caso è più complesso, poiché si pone da subito in un orizzonte temporale di lungo termine (Rif.1: paragrafi 2.2 “Percezione della Employee Value Proposition” e 2.3 “Aspettative di Carriera”).

In quel caso l’obbiettivo era di impostare una retention non temporanea, ma di lungo termine, strutturale. A tale scopo sono state analizzate due dimensioni:

  • Le caratteristiche dell’azienda percepite dai collaboratori come più motivanti a restare;
  • La tipologia di interventi che i collaboratori consideravano di valore, ai fini delle loro aspettative di carriera.

Questo ha permesso di individuare, per ogni collaboratore di interesse, le aree più efficaci per intervenire e gli strumenti più mirati rispetto alle sue aspettative. Interventi specifici sono poi stati pianificati ed attuati.

Naturalmente è stato messo in campo anche un monitoraggio frequente dell’evolversi di queste percezioni, tramite sistematici colloqui individuali (Rif.1, paragrafo 2.1 - Realizza un Programma “Conosci il tuo Cliente Interno”).

 

Rif.1    "HRBP: Ma cosa fa?", ebook2 (paragrafi 2.2 “Percezione della Employee Value Proposition” e 2.3 “Aspettative di Carriera”).

 

Dite la vostra: non siete d’accordo con l’analisi di questi casi, o al contrario siete stati testimoni di casi simili? 

 

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