HR UN RUOLO DI FRONTE AL BROKEN BRIDGE
formazione personale aziendale | formazione aziendale obiettivi | gestione personale azienda

peopleart formazione personale aziendale | formazione aziendale obiettivi | gestione personale azienda HR UN RUOLO DI FRONTE AL BROKEN BRIDGE

HR UN RUOLO DI FRONTE AL BROKEN BRIDGE

 

HR UN RUOLO DI FRONTE AL BROKEN BRIDGE

Figura da foto modificata di Micha in Pixabay

I professionisti HR fanno da ponte fra azienda/responsabili e collaboratori trovandosi al crocevia di richieste da entrambe le parti, spesso non conciliabili tra di loro senza un aperto e serio confronto fra tutti gli attori.

Da almeno due anni si riscontra una crescente asimmetria fra le aspettative di aziende e collaboratori, o candidati, caratterizzata da: maggior numerosità, distanza e diversità.

Le organizzazioni cercano impegno, ingaggio anche emotivo (sentire gli obiettivi come propri), disponibilità (fare quanto e quando richiesto di volta in volta).

Mentre candidati e collaboratori cercano trattamenti e retribuzioni equi e dignitosi, ascolto e coinvolgimento attivo, flessibilità a due vie (necessità operative vs equilibrio vita-lavoro).

Questa asimmetria genera molte conseguenze fra cui tre in particolare:

  • Un aumento delle tensioni interne fra aziende e collaboratori, seguite da insoddisfazione, basso tasso di ingaggio e scarsa disponibilità. Sino a comportamenti come quello del Quite Quitting (a);
  • Una crescente difficoltà delle aziende nel risultare attrattive verso personale qualificato. In particolare per quelle che ascoltano meno il gap fra la loro cultura e le aspettative dei candidati;
  • Una diffusa percezione da parte di candidati e collaboratori di perdita di senso, significato del lavoro, se non come "attività da-fare", per guadagnare quanto basta per vivere altre esperienze personali più coinvolgenti. Ed a questo punto, tanto vale che sia la meno impegnativa possibile, da cambiare ogni volta che "ci si stufa".

La reazione più diffusa delle organizzazioni tende invece ad essere quella di colpevolizzare chi mostra questi comportamenti in risposta alla loro domanda di “maggior impegno”: choosy, "sdraiati sul divano", "non vogliono sacrificarsi", e così via.

Ad essere cinici, questa situazione potrebbe non essere vista come un problema dal lato delle imprese, se i fabbisogni di personale fossero soddisfatti dall’offerta (i professionisti sul mercato). La situazione invece è esattamente opposta: molteplici fonti documentano una difficoltà oramai strutturale nel soddisfare i bisogni di competenze, e persino di manodopera, delle organizzazioni.

Prima di tornare al ruolo che possono giocare i professionisti HR per affrontare questo problema, è necessario allargare per un momento l’orizzonte delle cause di questa situazione di insoddisfazione, oltre la stretta dinamica di domanda-offerta tra azienda e lavoratori:

  • Demografia ed occupazione femminile - l’Italia è vecchia e non ha saputo invertire, almeno in parte, la tendenza negativa della natalità, come al contrario hanno fatto ad esempio Germania e Francia, tramite supporti concreti e di lunga durata, decennale, alle famiglie. Allo stesso tempo, paradossalmente l’Italia è anche il paese europeo con il più basso tasso di occupazione femminile ed una percentuale elevata di mancati rientri post maternità. Da un lato, agisce una cultura organizzativa che vede nelle giovani donne un “fattore di rischio per la continuità della produttività”. Dall’altro opera una cultura politica del paese che “promuove le famiglie ma non i servizi alle famiglie”. Come risultato, metà delle donne del paese sono bloccate fra obblighi di cura e scarsità di reddito;

 

  • Immigrazione – l’Italia perde più professionisti qualificati di quanti ne attrae. Inoltre, non sa trarre neppure i benefici possibili dai flussi migratori meno qualificati che comunque ci coinvolgono. Al contrario della Germania ad esempio che, al fine di sostenere il suo sviluppo economico, ha bilanciato una solo parziale ripresa della natalità con esplicite politiche d’immigrazione (basti citare le forti presenze turca e siriana, storica la prima e più recente la seconda);

 

  • Gestione dell’educazione dei giovani – l’Italia è il penultimo paese europeo come tasso di educazione universitaria, negli ambiti STEM in particolare. Allo stesso tempo, è il paese con la più alta incidenza di NEET (24%, pari a circa 3 milioni di giovani, contro il 12% circa medio in Europa).

 

La carenza di gestione di lungo termine di tutti e tre questi "fattori produttivi", donne giovani ed immigrati, costituisce sprechi di opportunità. Da decenni uno sperpero sistematico di capitale umano. Quel capitale che invece servirebbe per sostenere lo sviluppo del paese, e di cui ora si comincia a sentire più acutamente la mancanza.

Per tornare al ruolo che possono avere i professionisti HR, in questo scenario in cui competenze e manodopera stanno diventando una risorsa scarsa, partiamo proprio da quello che in una azienda si potrebbe fare per recuperare parte del potenziale di lavoro costituito da donne, giovani ed immigrati.

Ad esempio attraverso alcune politiche organizzative per promuovere:

  • L’incremento del tasso di occupazione e retention femminile, in particolare nelle posizioni più professionalizzanti e di responsabilità. Oppure il supporto alla genitorialità (maschile quanto femminile). Magari in concorso con altre aziende ed enti del territorio, per offrire servizi che sfruttino il fattore di scala generato da una più ampia dimensione del bacino d’utenza. Uno scambio generativo fra servizi ed occupazione/ ingaggio che porta beneficio a cittadini, aziende ed amministrazioni;
  • Lo sviluppo e l’utilizzo ottimale delle competenze giovanili ai vari livelli di educazione, tramite collaborazioni di lunga durata con istituti di formazione tecnica (b), Università e Politecnici. Collaborazioni che devono essere basate su progetti di specifico interesse per il business aziendale e sviluppate grazie ai vari strumenti che vanno dallo stage curriculare/ extra curriculare, alla selezione/ formazione su ruoli specifici (spesso anche finanziabile), allo sviluppo di project work sino a quello di Tesi di Laurea, in modo da conoscersi, valutarsi e scegliersi per avviare un percorso di collaborazione;
  • La ricerca attiva di canali d’accesso ad immigrati con le professionalità di interesse, ad esempio le varie Associazioni che si preoccupano della loro assistenza ed integrazione. O lo sviluppo di specifici portali di servizi d’accoglienza ed orientamento sul mercato del lavoro, che operino sulla attrattività-paese. Fra l’altro, sono già disponibili fondi e bandi che possono permettere l’affinamento della formazione professionale già posseduta, così come l’apprendimento della lingua italiana.

Siamo infine arrivati a come affrontare in modo più produttivo le nuove dinamiche interne fra domanda ed offerta di lavoro, lì dove dovrebbe avvenire l’incontro fra una organizzazione ed un candidato, o dove dovrebbe continuamente rinnovarsi l’alleanza fra azienda e collaboratori, ognuno con le proprie legittime esigenze.

Le tensioni viste all’inizio, ora assumono un contorno differente una volta inquadrate nello scenario più ampio appena delineato. Le organizzazioni non hanno altra scelta: se non vogliono rinunciare ai propri obiettivi strategici debbono cercare un dialogo ed un bilanciamento fra i propri bisogni e la propria cultura e quelli dei potenziali candidati o collaboratori.

Se la dinamica di mercato non mi permette facilmente e rapidamente di: sostituire chi si dimette e acquisire le competenze che mi servono per i miei progetti, allora posso solo: (i) trattenere chi ha le competenze di cui ho bisogno; (ii) attrarre quelle che si rendono disponibili sul mercato del lavoro e (iii) sviluppare per tempo quelle che si più si avvicinano.

Queste tre aree: Retention, Attraction e Sviluppo, sono proprio le tre aree di competenza-chiave di ogni professionista HR che si rispetti. Purché interpretate in modo non-scolastico, comprendendo il nuovo ambiente in cui operano le aziende, con nuovi vincoli/opportunità dettati, oltre che dai clienti: dalla concorrenza e dalle tecnologie, nonché dall’evoluzione dei bisogni della "forza-lavoro", candidati e collaboratori.

La "forza-lavoro" è Stakeholder in senso diverso dal passato, che era più sindacalizzato, ma non meno capace con modalità diverse di far sentire il proprio peso nel condizionare il successo delle organizzazioni in cambio del suo livello di contributo (la modulazione del livello d’ingaggio e di creatività, il contributo col passaparola al corporate branding e l’attrazione di nuovi colleghi, le dimissioni, ecc.).

L’efficacia di un intervento HR è tuttavia condizionato dalla volontà delle organizzazioni di “cercare dialogo e bilanciamento” coi bisogni emergenti di collaboratori e candidati. Senza questa volontà, va detto chiaramente che tutte le capacità tecniche e comunicative anche del miglior HR sono armi del tutto spuntate ed inefficaci. E’ una volontà negoziale, disposta a mettere sul tavolo delle risorse addizionali. Prima di tutto, per un cambiamento di mentalità ed in parte anche economiche (es: formazione, tempo dedicato alle persone, riconoscimenti, ecc). Bilanciamento e negoziazione che sono propedeutici ad un serio riesame delle basi del sistema relazionale organizzazione-collaboratori e ad una sua rifondazione in termini di People Strategy, come abbiamo visto nel precedente articolo (“People Strategy come vantaggio competitivo”).

In un prossimo articolo 8terzo ed ultimo di questa mini serie "Companies at the Crossroads"), approfondiremo un possibile approccio per co-costruire, azienda e collaboratori/ candidati col supporto di HR, un percorso di bilanciamento dei rispettivi bisogni. Il riferimento che utilizzeremo a tale scopo è la revisione della Piramide dei Bisogni che il Prof Mariano Corso ha presentato durante il Convegno di Maggio degli Osservatori Digital Innovation (vedere anche l’articolo citato in nota (a)).

 

Note al testo

(a) Secondo la definizione data durante il Convegno HR Innovation Practice del 11 maggio scorso, i Quite Quitter sono definiti come: <<… persone che non lasciano l’organizzazione ma decidono di fare il minimo indispensabile per non essere licenziati>> - vedere anche l’articolo: https://www.peoplechange360.it/people-strategy/ossservatorio-hr-2023-lavoratori-italiani-a-caccia-di-soddisfazione-equilibrio-benessere/.

(b) Vedere ad esempio: https://usr.istruzionelombardia.gov.it/istruzione/its-e-ifts/ oppure https://tuttoits.it/its-itis-itt/.

 

Autori: Domenico Famà ed Ilaria Serra, Partners di PEOPLE ART.

L’articolo è stato anche pubblicato il 28 Giugno 2023 sul sito di yourHR: https://www.yourhr.it/hr/hr-un-ruolo-davanti-al-broken-bridge/, una divisione di YOURgroup di cui i due Autori sono Senior Advisors